Appendice
L’Inferno nella mia esperienza personale
Forse può essere utile a qualcuno un accenno a
come personalmente mi sono rapportato in passato e mi rapporto ora con
l’inquietante e ineludibile
realtà dell’Inferno.
Perduta la mia tenue fede cattolica dopo gli studi liceali - le filosofie del
Liceo Classico mi avevano portato su posizioni agnostiche - recuperai la fede
in Cristo risorto e nella Parola di Dio, la Bibbia, quando frequentavo
l’università di Perugia.
Divenni “protestante”, partecipando a incontri di studi biblici di un circolo
evangelico di studenti universitari, e aderendo a una locale chiesa evangelica.
Nell’Inferno ci credevo, perché le Sacre Scritture ne parlavano chiaramente, ma
non mi riguardava personalmente, perché, secondo quanto si insegnava in quegli
ambienti, io potevo e dovevo essere certo di essere salvato perché avevo creduto
in Cristo: salvezza “per fede”, indipendentemente dalle opere.... (la cosa più
la professavo, meno mi convinceva, per la lacerante consapevolezza delle miserie
e contraddizioni morali in cui mi dibattevo). Nel centro di conferenze bibliche
per universitari di cui ero divenuto responsabile, una sera “capitò” una
singolare persona, pervenuto alla fede in un modo assolutamente inconsueto (ho
raccontato della sua conversione e della sua singolarissima vocazione profetica
nel libro “Dalla terra di Assisi e di Francesco lo Spirito di profezia”).
Quell’uomo - Marcello Ezechiele Ciai - convertito prodigiosamente da una
celestiale visione di Gesù, ex uomo d’affari totalmente estraneo a nozioni
teologiche e a pratiche religiose, mi snidò dalla mia fede mentale e
fondamentalmente eretica, per riportarmi, senza farmene accorgere, nella Chiesa
Cattolica. Cominciai a considerare l’Inferno come una realtà da prendere in
estremamente seria considerazione, tanto più che sperimentai in un modo
incredibilmente concreto (e difficilmente condivisibile) cosa significhino
quelle tremende parole di Gesù sulla Geenna (l’Inferno) dove, riferendosi ai
dannati, dice che “il loro verme non muore e il fuoco non si estingue” (Vangelo
di San Marco 9:42-48).
Dopo quasi quarant’anni di vita nella mia comunità Famiglie di Betlemme, di
ispirazione benedettina, nelle vicinanze di Assisi, sotto la guida di Marcello
- ora ottantenne e malato - sento più che mai che l’unica vera meta per cui vale
la pena di vivere, è salvarci dall’eterna condanna e conoscere e godere
l’immisurabile amore di Dio, che il Padre ci ha rivelato in particolare nella
croce del suo Figlio unigenito. E contraccambiare quell’amore testimoniandolo
fattivamente nella Chiesa e nel mondo. Non sono certo, come lo ero una volta,
che mi salverò. Tutt’altro. Se, come scrive San Pietro (1a Lettera 4:18) “il
giusto a stento si salverà” , che ne sarà di me che giusto non sono? “Quid sum
miser tunc dicturus, 28 quem patronum rogaturus si vix juste sit securus?” si
legge nel famoso dies irae di Tonmmaso da Celano. Che potrò dire io in quel
giorno, con tutte le mie miserie? A quale Santo mi raccomanderò? Però non
dispero e vado avanti, sapendo che solo “chi persevererà fino alla fine sarà
salvato” (Matteo 10:22).
So di dover perseverare nell’umiltà (non giudicate e non sarete giudicati, ha
ammonito il giusto Giudice), nell’alveo della Chiesa e con il sostegno del mio
padre spirituale e perseverando e crescendo nell’esercizio della misericordia,
perché Gesù ha detto: ”beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia”.
C’è speranza, dunque!
INDICE | |
CAPITOLO UNO - L'Inferno c'è : lo dice Gesù nel Vangelo |
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CAPITOLO TRE - Ma è davvero eterno l'Inferno? |
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