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CAPITOLO UNO

L'Inferno c'è: lo dice Gesù nel Vangelo

 

L'inferno c'è - purtroppo - e chi ci finisce non ne esce mai più. Il primo e fondamentale motivo per crederci, è che lo attesta quella Parola di Dio divinamente ispirata che è la Bibbia, a cominciare dal Vangelo annunziato dal Figlio di Dio, Gesù Cristo, il Risorto. Nessuno più e meglio di Gesù può parlarci dell'Inferno, Lui che dopo la sua morte in croce "discese agli Inferi e il terzo giorno risuscitò da morte": e con la sua risurrezione ha comprovato la sua natura divina, la veridicità del suo insegnamento (riguardante anche l'Inferno) e l'autorevolezza della Bibbia. "Ma io non ci credo che sia risorto" obietta qualcuno. Al che rispondo: fa niente, è risorto lo stesso, e l'inferno c'è anche per chi non ci crede. Anzi una grande mistica della Chiesa ha visto l'Inferno popolato soprattutto da gente che non ci credeva.
Le vie di fuga da questa inquietante realtà sono tante. Certi teologi del Concilio Vaticano II, non potendo arrivare a negare l'esistenza dell'Inferno, hanno fatto pericolosissime acrobazie teologiche per ventilare la seducente ipotesi che l'Inferno potrebbe anche esserci, ma è vuoto, insomma non ci finisce nessuno, dato che Dio è amore e alla fine perdona tutti.....

Ai tanti credenti che credono di poter insegnare a Dio quel che deve e non deve essere, e ciò che può o non deve fare, suggerisco di prendere un pennarello rosso e evidenziare tutti i passi in cui il Vangelo parla dell'Inferno (ma anche, per non cadere nello sconforto, con un pennarello verde-speranza i passi che parlano del Paradiso).

Nell'avventurarsi in questa importantissima verifica, va tenuto conto che la parola "Inferno"- dal latino: "che sta in basso, che sta sottoterra" - non si trova nel Vangelo attualmente in uso nella Chiesa Cattolica, quale si legge nella edizione della Sacra Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana. Ma per smorzare l'esultanza di chi nell'Inferno proprio non ci vuol credere, va detto subito che il Vangelo usa diversi  termini riferendosi all'Inferno: a cominciare da quello quasi equivalente di "Inferi", che troviamo in tre passi molto significativi.                      A Cafarnao , la città in cui Gesù era venuto a stabilirsi dopo Nazareth e non si era convertita pur avendo visto tanti segni e prodigi, il Signore predice: " Fino agli Inferi precipiterai!" ( Matteo 11:23). A Pietro invece, che lo ha riconosciuto come "il Cristo, il figlio del Dio vivente" Gesù assicura che "le porte degli Inferi"  cioè le potenze infernali "non prevarranno" contro la Chiesa (Matteo 16:15-18). E in quello squarcio sull'aldilà riportato dal Vangelo di Luca (16:10-31), a proposito del ricco gaudente trapassato a peggior vita è detto che stava "negli Inferi tra i tormenti" In tutt’e tre questi passi del Vangelo, la parola “Inferi” traduce il termine greco "Ades"( i Vangeli, come tutto il Nuovo Testamento ci sono pervenuti in greco), e ha una connotazione fortemente negativa.

Uno dei termini più ricorrenti con cui Gesù parla dell'Inferno, è "Geenna", parola che ricorre 11 volte nei Vangeli: era un po' la discarica di Gerusalemme, dove il fuoco veniva tenuto sempre acceso, e vi si gettavano carogne di animali, e anche di criminali giustiziati. Nell'insegnare che è meglio togliere via - e tagliar via - da noi tutto ciò che ci fa cadere in peccato, fosse anche una mano o un piede o un occhio, Gesù avverte che è meglio fare così che finire nella Geenna, cioè all'Inferno, "dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue" (Marco 5:48).


C'e poi nel Vangelo tutta una varietà di sinonimi che definiscono questo luogo di sofferenza e disperazione eterne: fuoco, fuoco inestinguibile, fornace ardente, perdizione, condanna, eterna dannazione, tenebre di fuori, pene eterne, guai. Questi diversi modi in cui Gesù parla dell'Inferno, già rendono un idea di cosa è veramente. A cominciare dal fuoco in cui sono tormentati i dannati (come nella visione dei tre pastorelli di Fatima). "Questa fiamma mi tortura!" esclama il ricco nel citato passo di San Luca, su cui torneremo ancora; e implorava Abramo: " Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua"
(Luca 16:24).


Le parole che usa Gesù nel descrivere l'Inferno sono drammaticamente eloquenti, e lo descrivono come un luogo tenebroso di indescrivibili ed eterne sofferenze: come l’espressione "pianto e stridor di denti" che ricorre nelle parabole del buon grano e della zizzania, della rete gettata in mare, delle nozze regali, delle dieci vergini.
Ma un altro modo in cui Gesù parla di quanti vanno all'Inferno, è il loro non entrare nel Regno dei cieli, l’esserne esclusi per sempre: "Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli" dice ad esempio il Signore nel discorso della montagna (Matteo 5:20). Ebbene, chi "non entra" finisce all'Inferno. Con questa espressione Gesù mette in risalto l'accresciuta sofferenza dei dannati nel vedersi esclusi dall'eterna felicità del regno celeste. Tuttavia le sofferenze dell'Inferno non sono soltanto spirituali, come tanti credono, quasi per voler mitigare la severità di Dio. Sono anche "fisiche", anche se di una fisicità che ci è molto difficile di immaginare. Ma tutti, buoni e cattivi, dopo questa vita terrena risorgeremo ("credo nella resurrezione della carne", recita il "credo" nella sua formulazione più antica, usata dalla Chiesa soprattutto in Quaresima e nel tempo pasquale). Sì, questo nostro corpo che nella vita terrena può esser stato uno strumento di bene o di male, nell'aldilà proverà le consolazioni paradisiache o le tribolazioni infernali. Gesù ha parlato di pianto, in particolare per i ridenti e gli irridenti di questo mondo: "Guai a voi che ora ridete, ,perché sarete afflitti e piangerete". Dunque avremo occhi per piangere. E ha detto che quanti qui si abbuffano nel mangiare, di là avranno  fame, e sarà un  digiuno eterno!. Dunque, avremo un "organismo" - Dio solo sa come sarà - suscettibile di provare i morsi della fame... La visione dantesca dell'Inferno è biblicamente ben fondata.

Certo, Gesù è venuto in terra per salvarci e condurci alla vita eterna. " Signore, da chi andremo? Tu solo ai parole di vita eterna !" esclamò Pietro quando Gesù, abbandonato dalle folle dopo il duro discorso sul "pane della vita", prospettò anche ai dodici di lasciarlo. Ma Colui che ci ha portato parole vere di vita eterna .- e quanto mancano queste parole nel mondo, anche nella Chiesa! - ha parlato spesso e chiaramente anche di morte eterna. Un esempio fra tutti: a Marta, prima di risuscitare il fratello Lazzaro morto da tre giorni, Gesù disse:
"Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;  chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno." (San Giovanni 11: 25-26). Questa affermazione è estremamente consolante: parla di risurrezione e di vita eterna per quanti credono al Risorto. Ma c'è una nota fortemente inquietante in quella frase "chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno", che prospetta agli increduli la tragica possibilità di "morire in eterno". Ora, questa morte che non finisce mai, questa morte di cui non si cessa mai di morire, è l'Inferno eterno!

 

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CAPITOLO DUE

Il ricco e Lazzaro

 

Un passo fondamentale del Vangelo sulla incontrovertibile, tragica realtà dell'Inferno, è il già citato brano  ( Luca 16:19-31) dove compare un altro "Lazzaro", non il fratello di Marta e Maria ma un mendicante coperto di piaghe, che se ne stava alla porta di un ricco gaudente, "bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco". Poco sappiamo della biografia di questo mendicante, come mai si sia ridotto così: sarà andata male la sua attività, magari avrà avuto problemi col fisco... o forse  non poteva lavorare per le sue malattie? O la moglie si sarà separata  lasciandolo nei guai, e i figli l'avranno abbandonato? Ma certo questo povero viveva una vita "da cani", e cani in senso letterale "venivano a leccare le sue piaghe".

Anche del ricco sappiamo ben poco, non ne conosciamo nemmeno il nome: un anonimo ricco che vestiva alla moda e "ogni giorno si dava a lauti banchetti", senz'altro in compagnia di suoi pari. Non è detto mica che fosse un malfattore, probabilmente pagava le tasse, e avrà fatto qualche opera di bene, come lasciare stare Lazzaro alla sua porta... No, il principale demerito di quell'uomo consisteva proprio nelle sue ricchezze. D'altronde il Signore nel suo di corso sulla Montagna non disse soltanto "Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio" ma anche "guai a voi, ricchi,perché avete già la vostra consolazione" (Luca 6:20,24). E se non è impossibile che un ricco si salvi, certo è molto improbabile, stando alle parole del Risorto. "In verità vi dico" ha detto Gesù, con un' enfasi del tutto particolare "difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.  Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli"(Matteo 19:23-24). Sono parole che tanti ministri della Chiesa non hanno più il coraggio di ricordare, in un mondo che ammira i ricchi, e quanto ai poveri li compatisce sì - spesso soltanto a parole - ma non li considera certo "beati" perché candidati al Regno dei cieli. "Beati voi poveri !" non lo dice nemmeno il Papa.. Ma Gesù l'ha detto!

Il brano del ricco e Lazzaro continua con uno scorcio di vita ultraterrena che il Signore Gesù ha voluto rivelarci, davvero "illuminante"...anche se illuminata dai foschi bagliori dell'Inferno. E' un passo che riserva molte sorprese, a cominciare dal fatto che non si tratta necessariamente di una "parabola". Nell'ultima edizione della Bibbia Cattolica il brano è presentato con la soprascritta: "Parabola del ricco e del povero "; ma c'è da tener presente che se la Bibbia è certamente ispirata da Dio, non sono altrettanto ispirati i titoli e le introduzioni  dei singoli libri, né la loro ripartizione in capitoli e versetti, e... nemmeno le note a pié di pagina! Questo passo non è introdotto dalle parole con cui normalmente cominciano le parabole (ad esempio: il regno dei cieli si può paragonare a...). No, qui sembra che il divino profeta riferisca una sua visione degl'Inferi. D'altronde, se tanti Santi e mistici hanno "visto" e raccontato  scene dell'aldilà, quanto più poteva farlo Colui che ha "le chiavi della morte e degli Inferi " (Apocalisse 1:18).

"Un giorno" prosegue la storia - ed è tutt'altro che una "storiella"- "il povero morì". Successivamente "morì anche il ricco". Eh sì, prima o poi tocca a tutti, anche ai ricchi... E qui la vicenda sconfina nel mondo ultraterreno, e le sorti dei due protagonisti, che prima in qualche modo "coabitavano" nella stessa casa, si diversificano, e le loro condizioni si invertono. Il ricco finisce "negli Inferi tra i tormenti": insomma va all'Inferno (questa la parola che compariva nella precedente edizione della Bibbia C.E.I.). Il povero invece "fu portato dagli angeli accanto ad Abramo". Dove? Ci viene spontanea l'immagine di un volo di angeli che si innalzano verso il cielo, ma le cose non andarono così. Perché allora -  e fino alla resurrezione e ascensione in cielo  di Gesù - Abramo  - e con lui tutti i giusti di ogni tempo-  non stava in cielo, ma nello "Scheol", termine con cui gli ebrei chiamavano il mondo dei morti. E nello Sheol - si legge nel Vangelo di Luca - una invalicabile "voragine" separava i dannati, come il ricco gaudente, dalle anime di quanti in vita erano stati graditi a Dio e venivano consolati dalle loro tribolazioni, come appunto Lazzaro. Questo luogo di consolazione era quel "Paradiso" che il Signore garantì al "buon ladrone crocifisso" accanto a Lui, dandogli questa meravigliosa assicurazione: "In verità ti dico, oggi darai con me nel Paradiso" (Luca 23:43). Alla loro morte, Gesù e il malfattore pentito non ascesero al cielo (l'Ascensione di Gesù avvenne solo dopo quaranta giorni). Discesero invece agli Inferi, ma in quella parte  "buona " degli "Paradiso": un termine che ricorre una sola volta  - qui - nei Vangeli, e deriva etimologicamente  da "giardino"(ricorda  il giardino che Dio piantò in Eden per porvi Adamo ed Eva, Genesi 2).  Con la resurrezione ed ascensione di Gesù, questo "Paradiso" con tutti i suoi abitanti cambierà poi collocazione, non sarà più "terrestre" ma in "celeste". San Paolo racconterà che in una sublime visione "fu rapito fino al terzo cielo...in Paradiso" (2a lettera ai Corinzi 12:3).   

Lo stesso San Paolo scrive che     " quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì né mai entrarono in cuore d'uomo, queste Dio ha preparato per coloro che lo amano" (1a Lettera ai Corinzi 2:9). Ma è anche inimmaginabile l'eterno tormento dei dannati all'Inferno. Gesù, perdona le nostre colpe, scampaci dal fuoco  e dai tormenti eterni dell'Inferno!...

 

L'Agnello dell'Apocalisse


Prima di procedere con alcuni cenni su cosa è detto sull'Inferno nel resto della Bibbia, c'è da soffermarsi sulla definizione di "Agnello di Dio" che Giovanni Battista dette di Gesù
quando "vedendo Gesù venire verso di lui disse: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!"( San Giovanni 1:29)
 

Giovanni, cugino e coetaneo di Gesù, fa da cerniera - per così dire - tra Vecchio e Nuovo Testamento: ultimo dei  profeti  dell'antica alleanza, Gesù lo definisce "più che un profeta" (San Luca 7:26-28), addirittura "il più grande tra i nati di donna". Il Battista a chi lo interrogava su chi fosse, rispondeva di essere "Voce d'uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore!" secondo quanto preannunziato secoli prima dal profeta Isaia (40:3). Ma il Signore Gesù lo identificò anche con "quell'Elia che doveva venire" come suo precursore, del quale aveva parlato il profeta Malachia (3:23).

Il Battista parlava di Gesù alle folle proclamandolo "il Figlio di Dio... che mi è passato avanti, perché era prima di me"; e anche "lo sposo" da festeggiare, di cui Giovanni si definiva l'amico presente alle nozze, che si rallegrava all'udirne la voce. Ma la definizione rimasta più famosa, e che il sacerdote ripete a ogni Messa prima di distribuire l'Eucarestia, è quella di "Agnello di Dio": il vero agnello sacrificale prefigurato nella Pasqua ebraica, che avrebbe preso su di sé ed espiato col suo sacrificio i peccati non soltanto di Israele, ma di tutto il mondo. Grazie al suo sacrificio espiatorio e alla sua risurrezione, l'uomo peccatore - e siamo tutti peccatori, nessuno escluso - può ricevere il perdono dei peccati e lo Spirito Santo per avere la forza di emendarsi dai propri peccati e vizi,  e acquisire le virtù, umane e divine, necessarie per entrare nel regno dei cieli. Ma questo "Agnello di Dio" non avrebbe soltanto tolto il peccato del mondo, ma avrebbe anche eliminato dal mondo tutti i peccatori . "Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco..." annunziava il Battista " raccoglierà il suo grano nel granaio ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile". "Granaio" : la Chiesa universale di Cristo. "Fuoco inestinguibile": l'Inferno eterno.                             

Negli scritti neotestamentari, al di fuori dei Vangeli Gesù viene definito col nome di Agnello solo un paio di volte, tranne che nel libro dell'Apocalisse, dove sorprendentemente viene nominato 29 volte con  tale nome. Ma qui compare non come il remissivo, mansueto e umile "agnello condotto al macello" profetizzato da Isaia (53:7) e da Geremia (11:19); ma come un Agnello seduto regalmente sul trono di Dio Padre, nell'esercizio di tutta la sua sovrana regalità sulla Chiesa e sul mondo.

Viene da Pensare al crocifisso ligneo che ad Assisi, nella fatiscente Chiesa di San Damiano, parlò al giovane Francesco affìdandogli un mandato universale:Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restauramela”. Quel Crocifisso di stile bizantino, non ritrae il "Cristo sofferente" che siamo abituati a vedere, ma un "Cristo trionfante", con gli occhi aperti e un'espressione maestosa, regalmente "intronizzato" sulla croce: quasi a dire, come si legge nell'Apocalisse (1:17-18),"Io sono il Primo e l'Ultimo e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi". E al di sopra del Cristo in croce, c'è una piccola immagine che lo ritrae ascendere in cielo tra gli Angeli, tenendo una croce a mo' di trofeo. Più in alto, si vede la mano del Padre celeste che accoglie il Figlio nella gloria.

Nei primi tre capitoli dell'Apocalisse, di questo importantissimo, affascinante e altrettanto negletto libro conclusivo della Bibbia, vediamo Gesù governare la Chiesa nelle sue varie espressioni locali. Quale Sommo Sacerdote della Chiesa, che intercede per essa presso il Padre, il Signore la guida, l'incoraggia, la corregge, tramite i sacerdoti terreni e i doni dello Spirito Santo, a cominciare dal dono di profezia. Ci sarebbe molto da dire sull'attuale ministerio sacerdotale che Gesù esercita nel Santuario Celeste. Per tanti credenti,  celebrata la festività della sua Ascensione, è come  perdessero le tracce di Gesù, poco o nulla sapendo di cosa nostro Signore sta facendo in cielo e dal cielo (nel Nuovo Testamento c'è un prezioso libro - la Lettera agli Ebrei - che colma questa lacuna).

Ma procedendo nella lettura dell'Apocalisse, si vede l'Agnello che, alla destra del Padre, governa insieme a lui le sorti del mondo, intervenendo  nel corso della storia per arginare il male del mondo tramite l'operato della Chiesa stessa,"sale della terra" e "luce del mondo"; e anche castigando l'umanità quando il male trabocca. Lui solo, Gesù, può aprire i sette sigilli del rotolo della Storia umana, dove le sorti di una Chiesa sempre più osteggiata e perseguitata, si intrecciano con quelle di un mondo sempre più ostile a Dio e al suo Cristo. Un mondo su cui Iddio manda castighi, come le piaghe che mandò sull'antico Egitto, ma ora su scala planetaria.  I quattro cavalieri dell'Apocalisse (capitolo 6°), che portano guerre e  fame, malattie e morte, avanzano sulla terra a un ordine che procede dal trono di Dio, uno dopo l'altro, ogni volta che l'Agnello apre uno dei primi quattro sigilli. E così  sempre più ricorrentemente la anormale "normalità"  di questo  mondo "attaccato ai  piaceri più che a Dio" ( 2 Timoteo 3:4), viene sconvolta da varie tragedie, che siano terremoti o uragani, terrorismo o disperate migrazioni di gente che sfugge alle guerre o alla carestia. Questi flagelli sono, a ben vedere, l'ultimo atto di misericordia di un Dio buono e giusto, per portare gli uomini a ravvedimento e salvarli da quel castigo eterno e irrevocabile che è l'Inferno. Ma, si legge nell'Apocalisse  (9:20-21), ed è uno dei temi tristemente ricorrenti nel libro, che l'umanità pur sotto i ricorrenti e crescenti flagelli del cielo: "non rinunziò alle opere delle sue mani; non cessò di prestar culto ai demòni.... non rinunziò nemmeno agli omicidi, né alle stregonerie, né alla fornicazione, né alle ruberie"( da notare che il tempo usato spesso nelle profezie è un "passato profetico": il profeta ha già visto gli eventi futuri, e questi si verificheranno sicuramente ).

Siamo nel tempo della fine, l'umile Agnello sceso dal cielo per togliere i peccati del mondo. ridiscenderà in tutto lo splendore della sua gloria e regalità per  "togliere" definitivamente il peccato e i peccatori dal mondo. 

"Poi vidi il cielo aperto" scrive Giovanni verso la fine del suo libro "ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava «Fedele» e «Verace»: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è «Verbo di Dio». Gli eserciti del cielo  lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro.  Dalla bocca gli esce  una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa del Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori"(Apocalisse 19:10-16).

Eh sì,"Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre" (Ebrei 13:8); ma dopo essere stato il Profeta che ha annunziato la Parola definitiva di Dio, e il Sacerdote che ha immolato sé stesso intercedendo per noi presso il Padre, tornerà - e ci siamo più vicini di quanto pensiamo - nelle vesti di giudice dei vivi e dei morti. Quanti hanno fatto a meno di Lui, o deformato la sua vera identità in un Gesù di comodo, sperimenteranno che "è terribile cadere nelle mani del Dio vivente!" (Ebrei 10:32). Perché allora, come si legge nell'Apocalisse (6:15-18): "I re della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero (si nasconderanno) tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti;  e dicevano (diranno) ai monti e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall'ira dell'Agnello,  perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può resistere?" Tanti religiosi così buonisti che pretendono di essere più buoni di Dio onnipotente, non sopportano di sentir parlare di "ira di Dio". Eppure le Sacre Scritture attestano di questa ira, santa e giusta, ma addirittura "furiosa" contro quanti si ostinano nel male. 

"Misericordia e ira sono in Dio" si legge nel libro sapienzale del Siracide (6:12-13)," potente quando perdona e quando riversa l'ira. Tanto grande la sua misericordia, quanto grande la sua severità; egli giudicherà l'uomo secondo le sue opere". Questo è il vero volto di Dio, così l'hanno creduto e ritenuto venti secoli di Santi della nostra Chiesa.

E' scritto - ed è uno dei passi più luminosi e incoraggianti delle Sacre Scritture - che "Dio, nostro salvatore,  vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (I Timoteo 2:1-4). Fra quei "tutti" ci sei anche tu, ci sono anch'io. Siamo ancora in tempo per convertirci a Dio, "allontanandoci dagli idoli " cioè dai miti e dalle vanità di questo mondo " per servire al Dio vivo e vero  e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall'ira ventura " (1 Tessalonicesi 1:9-10). Sì, beati quanti attendono con amore,  timore e una buona coscienza la sua venuta, perché  si sentiranno dire dal Signore: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo"(Matteo 25:34)  Ma purtroppo a molti in quel giorno, che non hanno aperto il cuore all'amore di Dio e del prossimo per essere salvati, saranno rivolte queste agghiaccianti parole dal divino e giustissimo giudice: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli" (Matteo 25:41).

Per concludere con la storia del “Ricco e Lazzaro”, dalle labbra di Abramo possiamo trarre un paio di insegnamenti estremamente importanti. Ad Abramo il ricco, avvolto nelle fiamme infernali, fa due richieste, ad entrambe delle quali lui risponde con un pacato diniego.
La prima: “Questa fiamma mi tortura!” gridava, implorando: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta
del dito e bagnarmi la lingua” (Luca 16:24). “Figlio” gli risponde il patriarca “ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti”. Dunque, il primo fondamentale insegnamento è che “di là” tutti i conti torneranno, vera giustizia sarà fatta a quanti hanno subito ingiustizie in questa vita, immensa consolazione godranno quanti qui in terra hanno tribolato. “Beati voi che ora piangete!... Guai a voi che ora ridete!”, ha detto Gesù.

Queste parole suonano di scandalo oggi più che mai, in un mondo “amante del piacere anziché di Dio” (2a Lettera a Timoteo, 3:7), che cerca di essere meno infelice consolandosi con la fiction e il varietà, la letteratura d’evasione e il campionato di calcio, le promesse dei politici e le chimere degli scienziati... Un mondo che non sa - perché non vuole saperlo - che di là i poveri erediteranno il regno dei cieli, e quelli che qui piangono saranno consolati, mentre i ricchi erediteranno “guai”, e i buontemponi saranno afflitti e piangeranno (Luca 6:21,25).
E sarà davvero così, perché lo dice Lui, il Risorto, e le sue parole sono vere, perché è veramente risorto! “Padre, ti prego” è la seconda richiesta che il ricco fa ad Abramo “di mandarlo” (Lazzaro) “a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Abramo gli risponde “hanno Mosè e i Profeti” (cioè le Sacre Scritture) “Se non ascoltano Mosè e i Profeti neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi”.

Questa seconda lezione è fondamentale, per quanti si pongono seriamente la domanda di come salvarsi nell’aldilà. Rivalutiamo l’assoluta preminenza della Bibbia, Vecchio e nuovo Testamento, Parola di Dio!, al di sopra delle tante parole con cui i media ci subissano sempre più,
e anche delle seducenti dottrine di tanti religiosi che vogliono disancorarci da quel fondamento della nostra Chiesa che sono appunto
le Sacre Scritture, come le hanno lette e messe magistralmente in pratica venti secoli di Santi.

È inimmaginabile l’eterno tormento dei dannati all’Inferno. Come è inimmaginabile la gioia che i salvati godranno in Paradiso. Gesù ha detto: ”Qual vantaggio avrà l’uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l’uomo potrà dare in cambio della propria anima?” Ma d’altra parte sta scritto che “quelle cose che occhio non vide, ne orecchio udì né mai entrarono in cuore d’uomo, queste Dio ha preparato per coloro che lo amano” (1a Lettera ai Corinzi 2:9). La posta in gioco è enorme.

L'inferno rimane, come disperata sorte di quei tanti che, ha detto Gesù, entrano per la larga porta e percorrono la spaziosa via che conduce alla perdizione (San Matteo 7:12) La buona e consolante notizia del Vangelo è che possiamo scampare dall'eterna perdizione seguendo la via che il Signore ci ha aperto sacrificandosi per noi e poi risuscitando per essere accanto a noi, in noi, col suo Spirito Santo. E' una strada secondaria, non una comoda e transitatissima autostrada, quella che il Signore ci incoraggia a percorrere. Ha qualche salita abbastanza ripida, e qualche discesa un po' pericolosa, ma tutto sommato è marcata da una buona segnaletica, i Santi; pattugliata attentamente dagli Angeli; e con buone stazioni di rifornimento: i sacramenti della Chiesa! E poi...non c'è pedaggio da pagare: l'ha già pagato Lui sacrificandosi per noi sulla croce. E allora, coraggio !
 

INDICE

PREMESSA

CAPITOLO UNO  - L'Inferno c'è : lo dice Gesù nel Vangelo

CAPITOLO DUE   -  Il ricco e Lazzaro
                                  - 
L'Agnello dell'Apocalisse

CAPITOLO TRE    -  Ma è davvero eterno l'Inferno?

APPENDICE:            L'Inferno nella mia esperienza personale

 

Ciai's